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L’espressione “giovane adulto” circola e si sta diffondendo in modo sempre più significativo nella società contemporanea.
Prendendo come riferimento di partenza l’etimologia, vediamo che “giovane” deriva dal latino “jùvenem”, riconducibile al sanscrito yùvan (forte, eccellente), vocabolo molto vicino a yavan (difensore) ed a yaona (che respinge). Il giovane sarebbe pertanto colui che combatte, che respinge i nemici, che difende.
Comunemente per giovane si intende qualcuno che è nell'età della giovinezza, fra la tarda adolescenza e la maturità o, in senso figurato, qualcuno che è
ancora inesperto, immaturo. Un “novellino” nel mondo degli adulti.
Ma cosa significa essere adulto?
Generalmente questa parola richiama una persona matura cognitivamente e affettivamente che, proprio grazie a ciò, assolve un insieme di ruoli e funzioni che la collocano in una dimensione di “integrazione”, tanto dal punto di vista psichico che da quello relazionale e sociale.
Una celeberrima formula freudiana recita che l’accesso del soggetto alla vita adulta e alla salute psichica è attestato dalla sua capacità di amare e di lavorare (lieben und arbeiten): “il lavoro e l’amore sono entrambi governati dal perseguimento del medesimo scopo, ovvero un piacere più duraturo, realistico e socialmente responsabile”. La condizione esistenziale del giovane adulto è, da un lato, all’insegna dell’adultità (per lo meno sotto il profilo anagrafico, dato che l’età oscilla tra i 20 e i 30 anni), dall’altro si caratterizza ancora come condizione di giovanile acerbità psicologica e irrealizzata maturità sociale.
Per quali problematiche si può rivolgere ad uno psicologo?
Per i giovani, e sono i più, che proseguono l’iter formativo andando all’Università, gli studi rappresentano spesso un problema: difficoltà ad affrontare gli esami, difficoltà di studio, soprattutto incertezza rispetto alle proprie scelte. Per chi è già inserito nel mondo professionale, invece, il lavoro è spesso luogo di delusioni, frustrazioni o teatro di conflitti insostenibili. Frequenti, ma quasi mai tradotti in realtà, sono i sogni di lavoro alternativo.
Sul piano privato dominano le difficoltà relative alla vita di coppia: fatica ad accedere ad una vita sentimentale stabile, impossibilità di reggere la crisi dell’esperienza di innamoramento ed il passaggio all’amore stabilizzato, il progetto di una convivenza e/o di un matrimonio.
Pertanto, i “giovani adulti” che incontriamo come psicoterapeuti portano una condizione di sofferenza legata ad un più o meno profondo senso di “irrisolto”, ad uno stare senza saper stare, ad un sentimento di non essere adeguatamente preparati alla vita (o alla costruzione fittizia di esserlo troppo ma “subendo” il mancato riconoscimento dell’Altro), dove l’ancoraggio alla “Neverland” di Peter Pan diviene, a volte, molto intenso.
Come vive il giovane adulto?
L’isola che non c’è pare essere diventata un rifugio psicologico e culturale, in cui tali giovani si trovano a fare i conti con l’assunzione di responsabilità (a più livelli) faticando, potremmo dire, ad assumere (ed accettare) se stessi (e i propri limiti) in modo consapevole e a rivendicare nel mondo esterno la “certificazione di qualità” psichica e sociale.
Le richieste dell’universo contemporaneo e della società narcisistica sono multiple e spesso difficili da tenere insieme: il tutto e subito facilitato dal web e il bisogno di avere promosso dal consumismo ha creato l’illusione di poter affrontare e risolvere in fretta anche i propri problemi e le proprie (umane) difficoltà, dimostrandosi costantemente capaci, flessibili ed essendo, possibilmente, dei “Grandi”.
Nel tentativo di “rottamare” l’adolescenza- per usare un’espressione molto acclamata nel nostro Paese - e orientarsi verso la crescita e l’età adulta, drammaticamente, questi giovani, mossi da angosce di inadeguatezza, sentimenti di vergogna, frustrazioni formative e lavorative, paure a pensarsi in termini progettuali con un Altro, si ritrovano a “rottamare” continuamente il proprio “adulto possibile” interno, rinviando il destino delle loro scelte e cercando un confortante e, allo stesso tempo, scomodo sostegno nei genitori.
Che ruolo hanno i genitori?
Questi ultimi, a loro volta, presentano le difficoltà tipiche di chi, da una parte, esalta e sovrainveste il “proprio bambino” che presto sarà un “Grande” e saprà gestirsi autonomamente e, dall’altra (con le proprie personali fatiche a lasciar andare i figli) ne sottolinea più o meno sotterraneamente gli aspetti di fragilità e debolezza che, pertanto, richiedono ancora l’ala protettiva familiare.
Cosa può fare uno psicologo psicoterapeuta per un giovane adulto?
Il dolore - e la conquista- della separazione mette spesso in scacco tanto genitori quanto figli, è un compito difficile, poiché frutto di riassetti interni e profondi. Allo stesso modo, progettarsi in termini lavorativi e sentimentali si rivela un campo molto conflittuale e tormentato.
Ritornando all’etimologia del termine “giovane”, si potrebbe forse dire che i giovani pazienti che giungono da noi si presentano come “forti combattenti” e ci domandano, più o meno direttamente, di aiutarli a respingere e sconfiggere i loro “nemici”. Quel che la psicoterapia si pone come obiettivo trasformativo è accompagnarli a deporre le armi e ad accogliere tali “nemici” come parti sofferenti di sé, provando a comprendersi anziché sottoporsi con atteggiamento giudicante ad un test di ammissione alla vita adulta, costruendo insieme – seppur duramente - nuovi strumenti soggettivi per stare al mondo in un modo “sufficientemente buono”. Il cuore del lavoro è che ognuno trovi il proprio.